Dopo i casi Supermonte e Cds e di tante piccole aziende artigianali, del turismo e del terziario
Salento, dilaga il dumping contrattuale a scapito di lavoratori e aziende virtuose Cgil: “Condizioni peggiorative su diritti e salari. Danno alla contrattazione collettiva”
“Stop al dumping contrattuale”. La Cgil Lecce chiede una levata di scudi da parte di lavoratori, imprese, associazioni datoriali, consulenti e politica a tutela del contratto collettivo sottoscritto dai sindacati maggiormente rappresentativi, ossia le federazioni aderenti a Cgil, Cisl e Uil. Contratti che garantiscono, dopo decenni di lotte, un miglior trattamento economico a favore dei lavoratori ed una migliore tutela sul fronte dei diritti. “I tre giorni consecutivi di sciopero alla Supermonte e la vicenda di una grande catena alberghiera come Cds devono far riflettere sul terremoto sul piano economico, dei diritti acquisiti e della disparità di trattamento, che sta creando il dumping contrattuale”, dice Mirko Moscaggiuri, segretario confederale della Cgil Lecce con delega alle Politiche per il lavoro.
Lavoro al ribasso. “Quel che sta avvenendo in moltissime aziende salentine ci preoccupa”, dice il sindacalista. “L’applicazione di contratti collettivi peggiorativi per i lavoratori rischia di indebolire un tessuto occupazionale già fragile. Sono infatti sempre di più le aziende che intendono competere applicando accordi collettivi che tagliano i salari e riducono i diritti dei lavoratori”. L’ultimo caso è quello della Supermonte di Leverano, che dal 1° settembre applica un contratto collettivo diverso da quello sottoscritto da Fiom, Fim e Uilm: fatto che ha convinto i lavoratori a scioperare in massa (per quattro volte (con tre giornate consecutive, compresa quella di oggi e adesione al 90%). Non è un caso isolato: tempo fa anche una grande azienda del turismo, la Cds Hotel, ha scelto di tagliare sul costo del lavoro, piuttosto che investire. Esistono poi centinaia di micro e piccole imprese che applicano contratti collettivi di questo tipo, molto diffusi ormai soprattutto nel turismo e nel terziario (ma nessun settore è completamente immune dal fenomeno). Accordi che si configurano come vera e propria concorrenza sleale tra imprese e tra lavoratori, che inquinano il mercato del lavoro colpendo le buste paga e rendendo il lavoro sempre più povero. Addirittura in molti casi si lega l’andamento di alcuni elementi della retribuzione agli indici Istat regionali: un vero e proprio ritorno al passato ed alle gabbie salariali, che crea intollerabili differenze tra i lavoratori italiani e che svilisce la contrattazione aziendale e territoriale.
Concorrenze sleale. Alcuni esempi per comprendere gli effetti sui lavoratori che spesso inconsapevolmente firmano questo tipo di contratti di lavoro. Innanzitutto ratificano un pesante sotto-inquadramento in varie mansioni; le retribuzioni tabellari e di primo ingresso sono sensibilmente più basse (anche per centinaia di euro in meno al mese). Laddove è prevista per i contratti Cgil, Cisl e Uil, spesso il contratto “alternativo” elimina la quattordicesima e prevede deroghe peggiorative per diversi istituti previsti dalla legge, finanche su lavoro straordinario, turni, riposi settimanali, ferie. In caso di malattia, si taglia il pagamento parziale a carico delle aziende nei primi tre giorni; in alcuni casi si procede addirittura alla visita di controllo in caso di infortunio sul lavoro. C’è poi un altro nodo centrale, quello della flessibilità contrattuale: i contratti “minori” allargano le maglie su lavoro intermittente, part-time e interinale. Mortificano il diritto allo sciopero (le aziende possono sostituire i lavoratori scioperanti con addetti a termine o intermittenti) e depotenziano la clausola sociale nei cambi di appalti. Tutto ciò, oltre che deteriorare il sistema dei diritti e delle retribuzioni, si configura come un dumping contrattuale, cioè l’applicazione di contratti di lavoro firmati da organizzazioni datoriali e sindacali scarsamente rappresentative del settore, sottoscritti con la precisa finalità di fare concorrenza alle aziende più virtuose e rispettose delle regole, attraverso la riduzione dei costi e il peggioramento delle condizioni di lavoro.
Numeri. Al Consiglio nazionale economia e lavoro (Cnel) sono depositati 992 contratti collettivi nazionali di lavoro nel settore privato, che tutelano 13.362.921 dipendenti (dati aggiornati al 31 dicembre 2023, riportati negli allegati). I contratti sottoscritti dalle organizzazioni maggiormente rappresentative (aderenti a Cgil, Cisl e Uil) sono 210 e “coprono” il 96,5% dei lavoratori con contratto collettivo noto. “Bisogna stare attenti, perché a lungo andare il lavoro cattivo rischia di scacciare quello buono. Questa deriva va fermata al più presto”, dice Moscaggiuri. “Come si può evincere dai report del Cnel decine di contratti sono applicati spesso a pochissimi lavoratori, molto spesso meno di 10 a livello nazionale. Una proliferazione che svilisce i lavoratori ed il ruolo della contrattazione collettiva, visto che chiunque può inventarsi un’associazione datoriale e trovare un sindacato minore pronto a firmare qualsiasi tipo di accordo. Un fenomeno che sta creando intollerabili disparità di trattamento. Serve al più presto una legge sulla rappresentanza per rendere efficaci nei confronti di tutti i lavoratori le migliori condizioni garantite dai contratti firmati dai sindacati maggiormente rappresentativi. Su questa richiesta serve una convergenza tra imprese, lavoratori, associazioni datoriali e sindacali e politica. Sarebbe interessante per esempio sapere che cosa pensano i rappresentanti dei cittadini del trattamento peggiorativo riservato da molte imprese ai lavoratori salentini”, conclude il segretario confederale.