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L’ANGOLO DEDICATO AL LIBRO

L’ANGOLO DEDICATO AL LIBRO

IL FIGLIO DEL FISARMONICISTA di Bernardo Atxaga

“Il figlio del fisarmonicista”, è un romanzo di Bernardo Atxaga che spazia tra il nostalgico e l’epico, dove la natura – il mondo rurale – gioca un ruolo importante nel modo di essere e di comportarsi a partire da quell’Obaba inventata, un paese basco, idilliaco sebbene lacerato, secondo l’Autore, da varie oppressioni alcune derivanti dalle diversità delle condizioni sociali, altre frutto dell’odio e dell’egoismo

In quest’ultimo caso, Atxaga cita più volte la guerra civile, il bombardamento di Guernica e una persecuzione che è, evidentemente, la lotta contro l’ETA, per questo afferma che coloro che prima erano perseguitati dai fascisti ora sono diventati carnefici.

La trama è un contorto susseguirsi di eventi, presentati attraverso flash back, eventi stravolti con originalità, al fine di catturare l’interesse del lettore.

La poesia “Morte e vita delle parole” che funge da introduzione del romanzo è significativa. L’inversione dell’ordine dei termini morte/vita allude all’incessante evoluzione della lingua: le vecchie parole cadono in disuso, vengono sepolte, ma sorgono immediatamente quelle nuove, alcune appartenenti al lessico tecnico, altre spontanee, nate dall’esperienza quotidiana, come Atxaga sottolinea costantemente.

Joseba e David, due amici, quasi due fratelli, si ritrovano in California e ricordano la loro infanzia nel 1957 e più avanti nei giorni della giovinezza trascorsi nel territorio natale di Obaba, ritratto dai tempi della Repubblica e della guerra civile a quelli del dopoguerra e del franchismo. Due vite parallele che si sono salvate dagli inferi della guerra e della violenza, che servono ad affrontare in modo coraggioso i temi classici ed eterni della letteratura: amore, memoria, lingua, amicizia, ideali e anche la tristezza dell’emigrante che lascia la sua terra sapendo che non vi tornerà mai più.

Questa è un’opera in cui hanno voce potente l’amore, l’amicizia, la disillusione e la consolazione, un romanzo lungo, di lettura e bellezza accattivanti, un grande inganno narrativo del suo Autore, un grande romanzo scritto in basco, una lingua misteriosa e affascinante che spesso compare nel testo tradotto.

David, il figlio del fisarmonicista, alla sua morte, ha lasciato un piccolo grande tesoro: tre copie di un proprio memoriale in lingua basca, una per moglie, una per le figlie e una che l’amico Joseba dovrà consegnare alla biblioteca di Obaba.

Joseba, adempie al suo compito e, in accordo con Mary Ann, la moglie di David, traduce il lascito dell’amico da “quella lingua che nessuno conosce” in una lingua più accessibile, lo completa, ne diventa una specie di editor, insieme ne scelgono il titolo: “Il libro di mio fratello” che, come riportato nel primo capitolo, “contiene le parole che lasciò scritte il figlio del fisarmonicista, e anche le mie”.

Con questa dichiarazione si pone per il lettore un autentico busillis, perché sarà molto difficile discernere le intrusioni di Joseba nel testo di David, ma ritengo che non abbia molta importanza, si tratta di stratagemmi narrativi che si trovano all’interno di un testo unico, che si nutre dell’ibridismo e dell’inquinamento dei generi letterari tipici della letteratura postmoderna.

In breve, la sezione, che riproduce l’approccio di Joseba, più che un inizio in medias res, costituisce la vera fine della storia, che ci sarà raccontata seguendo la pista aperta dall’anticipazione del primo capitolo.

Seducendo il lettore attraverso le molte domande poste, queste pagine danno conto della complessità della costruzione del romanzo che non può essere definita come una semplice autobiografia, anche se fittizia e che, come racconto autobiografico, non può avere il finale scritto dallo stesso narratore.

Il salto tra il primo inizio e il secondo della vita di David ci lascia perplessi, quasi sconcertati. Infatti, il passaggio dall’atmosfera dell’Obaba degli anni Cinquanta al ranch californiano degli anni Novanta è molto audace in termini di dimensioni spazio-temporali, forse meno rispetto all’ambiente naturale americano, che ha una certa somiglianza con le colline e le valli, le praterie e gli animali dei Paesi Baschi. Il figlio del fisarmonicista, come suo zio Juan, già sepolto nello stesso cimitero, allontanandosi dalla sua patria, aveva cercato un paesaggio che gli fosse in qualche modo familiare e gli avrebbe permesso di intraprendere una nuova vita dopo le deludenti esperienze (anche familiari) degli anni di Obaba e della militanza politica.

La distanza spaziale e temporale dà al protagonista la capacità di guardare indietro e percorrere un percorso che prima gli faceva male rivivere. In questo modo, registra la sua esistenza e cerca di sconfiggere la morte che lo sta inesorabilmente perseguitando, secondo la migliore tradizione letteraria che affida alla pagina scritta la sopravvivenza dell’uomo.

In queste pagine si evidenzia anche l’assenza di un anello nella catena comunicativa che si era stabilita tra David e sua moglie. La mancanza di conoscenza del basco da parte di Mary Ann continua a costituire un ostacolo per lei ad avvicinarsi al mondo di origine del marito dopo la sua morte, e potrebbe esserlo ancora di più per le figlie, se Liz e Sara non rimedieranno alla mancanza che tanta inquietudine causava al padre.

Atxaga ci sta dicendo, con un esempio concreto, che la lingua è il veicolo privilegiato per comprendere bene una cultura e favorire il dialogo pacifico tra culture diverse. Per non perdere questo patrimonio e per trasmetterlo alle nuove generazioni, è necessario insistere sull’uso e coltivare la lingua nativa, in questo caso quella dei Paesi Baschi, come volevano fare David e Joseba nelle loro memorie, confidando nella disponibilità degli altri a capire la cultura di un passato che l’onda globalizzante del presente minaccia sempre più di cancellare.

luciani.2006@libero.it

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