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L’ANGOLO DEDICATO AL LIBRO

L’ANGOLO DEDICATO AL LIBRO

LE AVVENTURE DI ALICE NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE di Lewis Carroll 

Questa settimana proponiamo la rilettura di un classico della seconda metà dell’Ottocento “Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie”, scritto da Lewis Carroll pseudonimo del matematico e scrittore inglese Charles Lutwidge Dodgson.

Una bambina che, il giorno del suo settimo compleanno, si trova catapultata in una realtà meravigliosa, magica. Un mondo in cui gli oggetti parlano ed hanno un proprio carattere, una serie di situazioni quasi paradossali ed emblematiche. Un libro non solo per bambini in cui metafore e allusioni predominano.

Una curiosità è che il libro è stato tradotto diverse volte, ed ogni traduzione risulta un libro diverso, in quanto ricco di proverbi inglesi e figure retoriche.

Il romanzo ha ispirato sia il film d’animazione Alice nel paese delle meraviglie, del 1951 prodotto dalla Walt Disney; che il film Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie nel 1972 diretto da William Sterling.

Di seguito un breve brano: «Alice cominciava a non poterne più di stare sulla panca accanto alla sorella, senza far niente; una volta o due aveva provato a sbirciare il libro che la sorella leggeva, ma non c’erano figure né dialoghi,” e a che serve un libro “, aveva pensato Alice, “senza figure e senza dialoghi?”.
Ragion per cui stava cercando di decidere fra sé (meglio che poteva, perché il caldo della giornata la faceva sentire torpida e istupidita) se il piacere di confezionare una collana di margherite sarebbe valso la pena di alzarsi e cogliere i fiori, quand’ecco che d’un tratto le passò accanto di corsa un coniglio bianco dagli occhi rosa. In questo non c’era niente di tanto notevole; né ad Alice parve dopotutto così straordinario sentire il Coniglio dire fra sé: “Povero me! Povero me! Sto facendo tardi!” (ripensandoci in seguito, le venne in mente’ che avrebbe dovuto meravigliarsi, ma lì per lì la cosa le sembrò assolutamente naturale); ma quando il Coniglio: estrasse veramente un orologio dal taschino del panciotto, lo guardò e affrettò il passo, Alice saltò in piedi, perché le balenò nella mente di non avere mai visto prima di allora un coniglio fornito di panciotto e di taschino, per non parlare di orologi; e, bruciando di curiosità, lo inseguì di corsa per il campo, dove fece appena in tempo a vederlo sparire in una gran buca sotto la siepe.

Un attimo dopo Alice si era infilata dietro a lui, senza minimamente riflettere a come avrebbe poi fatto per uscire. Per un po’ la tana si prolungava come una galleria, ma a un certo punto sprofondava all’improvviso, tanto all’improvviso che Alice non ebbe neanche un momento per pensare a fermarsi; e si trovò a precipitare giù per quello che pareva un pozzo assai profondo. O il pozzo era assai profondo, o la sua caduta assai lenta: il fatto è che Alice ebbe tutto il tempo, precipitando, di guardarsi intorno e di chiedersi cos’altro le sarebbe accaduto a questo punto.

Dapprima cercò di guardare in basso e di distinguere la sua destinazione, ma era troppo buio per vedere nulla; allora guardò le pareti del pozzo, e notò che queste erano piene di credenze e scaffali; qua e là vide appesi quadri e carte geografiche. Prese al passaggio un vasetto da uno scaffale. L’etichetta diceva MARMELLATA DI ARANCE, ma con sua grande delusione il vasetto era vuoto; Alice non volle lasciarlo cadere, per paura di ammazzare qualcuno sotto, e fece in modo di posarlo sopra una credenza, sempre durante la caduta. “Be’!” pensava fra sé, “dopo una caduta come questa, ruzzolare per le scale mi sembrerà uno scherzo! Chissà che diranno a casa del mio coraggio! Non direi una parola nemmeno se cascassi dal tetto di casa!” (e di questo si può star certi).

Giù, giù, sempre più giù. Sarebbe mai finita quella caduta?” Mi domando quante miglia avrò percorso, a quest’ora!” disse forte. “Secondo me mi sto avvicinando al centro della terra. Vediamo un po’; sarebbero quattromila miglia di profondità, mi pare…” (perché, sapete, Alice aveva imparato a lezione diverse cosette del genere, e benché questa non fosse poi un’occasione ideale per fare sfoggio di cultura, dal momento che non c’era nessuno ad ascoltarla, ripeterle era pur sempre un buon esercizio) “…sì, più o meno la distanza è questa… ma a questo punto vorrei sapere a che latitudine e longitudine sono arrivata.” (Alice non aveva la minima idea di cosa fosse la latitudine, per non parlare della longitudine, ma le sembravano dei simpatici paroloni con cui riempirsi la bocca.) A questo punto ricominciò. “Mi domando se non finirò per attraversare la terra da una parte all’altra! Sarà buffo sbucare fuori fra la gente che va in giro a testa in giù. Agli Antidoti, mi pare…” (fu piuttosto contenta che non ci fosse nessuno a sentirla, stavolta, dato che la parola suonava decisamente sbagliata) “…però il nome del paese dovrò chiederlo. Scusi, signora, questa è l’Australia o la Nuova Zelanda?” (e cercò, parlando, di fare la riverenza; pensate, fare la riverenza mentre si sta cadendo nel vuoto!” E voi ci riuscireste?) “Ma così mi prenderanno per un’ignorante! No, meglio non chiedere; forse lo vedrò scritto in qualche posto. “Giù, giù, sempre più giù.

Non c’era altro da fare, ragion per cui, Alice riprese ben presto a parlare. “E Dinah? Che farà senza di me?” (Dinah era la gatta.) “Speriamo che si ricordino di darle il suo piattino di latte all’ora del tè. Povera Dinah! Come vorrei averti qui con me! Mi sa che di topi per aria non ne troveresti, ma potresti acchiappare un pipistrello, che assomiglia moltissimo a un topo, sai. Chissà però se i gatti mangiano i pipistrelli?” E a questo punto Alice cominciò a sentire un gran sonno, e continuò a ripetere fra sé, come in un dormiveglia: “I gatti mangiano i pipistrelli? I gatti mangiano i pipistrelli?” e qualche volta: “I pipistrelli mangiano i gatti?” perché, capite, siccome non sapeva rispondere a nessuna delle due domande, non faceva gran differenza come le formulava.»

 

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