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“LE CENERI” STORIA E TRADIZIONI DI UN GIORNO PARTICOLARE

“LE CENERI” STORIA E TRADIZIONI DI UN GIORNO PARTICOLARE

CENERI

Con l’espressione Mercoledì delle ceneri (o Giorno delle ceneri o, più semplicemente, le Ceneri), si intende il mercoledì precedente la prima domenica di Quaresima che, nella chiesa cattolica romana e in alcune comunità riformate, coincide con l’inizio stesso della quaresima, ossia il primo giorno del periodo liturgico “forte” a carattere battesimale e penitenziale in preparazione della Pasqua cristiana. In tale giornata, pertanto, tutti i cattolici dei vari riti latini sono tenuti a far penitenza e ad osservare il digiuno e l’astinenza dalle carni. Proprio in riferimento a queste disposizioni ecclesiastiche sono invalse alcune locuzioni come Carnevale (dal latino carnem levare, cioè “eliminare la carne”) o martedì grasso, ultimo giorno di carnevale, appunto, in cui si può mangiare “di grasso”.

La parola “Ceneri” richiama invece in modo specifico la funzione liturgica che caratterizza il primo giorno di quaresima, durante la quale il celebrante sparge un pizzico di cenere benedetta sul capo o sulla fronte dei fedeli per ricordare loro la caducità della vita terrena e per spronarli all’impegno penitenziale della Quaresima. Per questo il rito dell’imposizione delle ceneri prevede anche la pronuncia di una formula di ammonimento, scelta fra la tradizionale «Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai» o la più recente «Convertitevi e credete al Vangelo», introdotta dalla riforma liturgica seguita al Concilio Vaticano II con riferimento all’inizio della predicazione di Gesù

Nel Rito Ambrosiano, la quaresima è posticipata di quattro giorni e inizia la domenica immediatamente successiva (pertanto il carnevale termina con il “sabato grasso”), l’imposizione delle ceneri avviene o in quella stessa prima domenica di quaresima oppure, preferibilmente, il lunedì seguente. Il giorno di digiuno e astinenza viene invece posticipato al primo venerdì di quaresima.

La tradizione popolare meneghina fa risalire il proprio carnevale prolungato, o “carnevalone”, a un “ritardo” annunciato dal vescovo di Milano Sant’Ambrogio, impegnato in un pellegrinaggio, nel tornare in città per celebrare i riti quaresimali. Nella realtà, la diversa datazione della festa mobile delle Ceneri dipende da un consolidato e più antico computo cronologico dei quaranta giorni della quaresima, conservato peraltro anche nel Rito Bizantino.

Come accade normalmente con le maggiori celebrazioni religiose, anche il Mercoledì delle ceneri può vantare una serie di curiosità, abitudini e costumi particolari riservati a questo giorno. A cominciare dal nome proprio Cenerina (più raro il maschile Cenerino), che deriva testualmente dall’appellativo di questa ricorrenza, e proseguendo con la tradizionale scampagnata delle Ceneri che, nel Parco nazionale del Vesuvio, gli abitanti di Sant’Anastasia compivano sino a pochi decenni fa sul monte Summa, percorrendone le pendici lungo la suggestiva strada ornata dalle stazioni della Via Crucis, per andare infine a dissetarsi con l’acqua limpida della sorgente Olivella.

A livello di usanze e tradizioni più o meno popolari vanno segnalati anche numerosi Mercoledì delle ceneri piuttosto “trasgressivi”, nel senso che tale giorno non viene inteso come il primo della quaresima ma come quello conclusivo del carnevale:

Il Carnevalone di Marino, ad esempio, era una manifestazione di baldoria organizzata dai repubblicani locali a partire dal 1870 proprio il Giorno delle ceneri con intenti dichiaratamente anticlericali (venne soppresso nel 1922, con l’avvento del fascismo);

il Carnevale di Borgosesia invece continua a festeggiare ancor oggi il Mèrcü scüròt (cioè “Mercoledì scuro” in vernacolo piemontese) con una sorta di funerale del carnevale stesso, che si celebra dopo la “fagiolata” di mezzogiorno allestendo un corteo “funebre” che tocca tutte le osterie della città e termina solo a notte inoltrata;

anche a Lazise ci si accontenta della frittura di aole (alborelle di lago) e di un minestrone “di magro” ma poi, concluse le votazioni iniziate il Martedì grasso e proclamati i nuovi Capo Valar, Quel dal re e il Cagnól (tradizionali maschere locali), si forma il corteo mascherato che gira la città per portare i nuovi “re del carnevale” al riconoscimento ufficiale in municipio;

nella Barbagia di Ollolai il carnevale prevede anche l’intinghinzu del Mercoledì delle ceneri, un’imbrattatura di fuliggine che ricalca il rito quaresimale; a Ovodda si svolge una vera festa, il Mehuris de lessia (Mercoledì delle ceneri, appunto), con le maschere che cavalcano asini o portano al guinzaglio maiali, pecore e galline e Don Conte, un fantoccio grottesco con una grossa pancia fatta di stracci e il volto di sughero e cartapesta, con il suo seguito di intintos e intinghidores (“tinti” e “tintori”) con il volto annerito dalla fuliggine che imbrattano di zinziveddu (polvere di sughero bruciato) chi incontrano per strada e, al tramonto, incendiano e gettano il fantoccio in una scarpata alla periferia del paese; analoga la festa pagana di Coli Coli nella vicina Tiana in cui gli “Intintos” partecipanti alla “festa” si ritrovano nelle vie principali con il viso tinto di carbone ricavato dalla bruciatura del sughero. Chiunque incontri “Intintos” viene a sua volta “intintu”e gli viene offerto da bere. Viene trascinato in processione un pupazzo che poi in serata viene dato alle fiamme.

Nel Salento si espone sui balconi un fantoccio denominato: La Quaremma o Caremma

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Sui balconi e terrazze di molti paesi del Salento viene esposta la Quaremma o Caremma termine di derivazione francese, probabilmente dato dai soldati francesi durante la loro presenza nel Salento nel XXIV secolo (dal francese Careme, tradotto in Quaresima). Fantoccio tipico del costume popolare salentino simbolo dell’inizio della Quaresima e la fine del Carnevale, raffigurante una vecchia brutta e magra, tutta vestita di nero in segno di lutto per la morte del Carnevale, nella mano destra un filo di lana con un fuso, simboli della laboriosità e del tempo che scorre e nella sinistra una arancia amara (marangia) con dentro infilate sette penne di gallina per quante sono le domeniche mancanti dalla Quaresima alla Pasqua. L’arancia amara (marangia)

con il suo sapore acre rappresenta la sofferenza e sette penne una per ogni settimana di astinenza e sacrificio che precede il giorno di Pasqua togliendo una penna ad ogni scorrere di settimana. Alla fine del periodo, ormai esaurito il filo da tessere, con l’arancia amara (marangia) secca e le penne esaurite, la caremma viene rimossa dal terrazzo e appesa ad un filo su un palo, quando il suono delle campane annuncia la Resurrezione, viene bruciata con scoppi di mortaretti tra l’allegria di tutti e con il fuoco inizia il periodo della purificazione e della salvezza. La tradizione alimentare, del periodo Quaresimale è caratterizzato da grande moderazione, difatti vengono eliminiti dalle tavole la carne, le uova e i formaggi. Tali privazioni terminano durante la Settimana Santa e si preparano i dolci tipici pasquali, tra questi la “CUDDHURA” o “CODDURA”, dolce di forma circolare, con dentro uova sode col guscio, regalate dalle ragazze ai fidanzati nel giorno della Resurrezione.

redazione.lecceoggi@gmail.com

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