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LE DONNE NELLA STORIA:  GIOVANNA D’ARCO

LE DONNE NELLA STORIA:  GIOVANNA D’ARCO

GIOVANNA D’ARCO

Quinta parte. Segue da venerdì 29 gennaio

Gli interrogatori a porte chiuse

A partire dal 10 marzo 1431 tutte le udienze del processo furono tenute a porte chiuse, nella prigione di Giovanna. La segretezza degli interrogatori coincise con una procedura inquisitoriale più incisiva.

A tutte le domande postele Giovanna rispose affermando, circa la disobbedienza ai genitori, che «poiché era stato Dio a chiedermelo, avessi avuto anche cento padri e cento madri, fossi anche nata figlia di re, sarei partita ugualmente»; circa l’aspetto degli angeli: «Vengono spesso tra gli uomini senza che nessuno li veda; io stessa li ho visti molte volte in mezzo alla gente»; circa il presunto tentativo di togliersi la vita, ribadì che il suo unico intento era quello di evadere; riguardo al “segno” dato al Delfino, Giovanna narrò che un angelo aveva consegnato al Delfino una corona di grande valore, simbolo della volontà divina che guidava le sue azioni al fine di far riconquistare a Carlo il regno di Francia (raffigurato dalla corona). Riguardo al peccato e se ritenesse di essere in stato di Grazia, Giovanna rispose «mi rimetto in tutto a Nostro Signore. Gli stessi contemporanei che ebbero modo di presenziare agli interrogatori, notarono l’accortezza e la saggezza con le quali Giovanna rispondeva; al contempo difendeva la veridicità delle sue “voci”, riconosceva l’autorità della Chiesa, si affidava completamente a Dio, così come di lì a pochi giorni, alla domanda se ritenesse di doversi sottomettere alla Chiesa, avrebbe risposto: «Sì, Dio servito per primo».

Il 27 e il 28 marzo furono letti all’imputata i settanta articoli che componevano l’atto di accusa. Molti articoli erano palesemente falsi o quantomeno non suffragati da alcuna testimonianza, meno che mai dalle risposte dell’imputata. Tra i tanti articoli uno, paradossalmente, risultò di sempre maggior rilevanza l’uso di Giovanna di portare abiti da uomo.

I settanta articoli in cui consisteva l’accusa contro Giovanna la Pulzella furono condensati in dodici articoli estratti dall’atto formale. Questi dodici articoli, in base ai quali Giovanna era considerata “idolatra” “invocaatrice di diavoli” “blasfema” “eretica” e “scismatica”, furono sottoposti agli assessori e inviati a teologi di chiara fama; alcuni li approvarono senza riserve ma diverse furono le voci discordanti: tra questi Jean Lohier, che reputò il processo illegale nella forma e nella sostanza, in quanto gli assessori non erano liberi, le sedute si tenevano a porte chiuse, gli argomenti trattati troppo complessi per una ragazzina e soprattutto che il vero motivo del processo era politico, in quanto attraverso Giovanna s’intendeva infangare il nome di Carlo VII.

Per queste sue schiette risposte, Lohier dovette abbandonare in gran fretta Rouen. Il 16 aprile 1431 Giovanna fu colpita da un grave malessere accompagnato da un violento stato febbrile, che fece temere per la sua vita, ma si riprese nel giro di pochi giorni. Le vennero inviati tre medici, tra cui Jean Tiphaine, medico personale della duchessa di Bedford, che poté riferire che Giovanna si era sentita male dopo aver mangiato un pesce inviatole da Cauchon, cosa che suscitò il sospetto di un tentato avvelenamento, peraltro mai provato.

Il 9 maggio Giovanna, condotta nel torrione del castello di Rouen, minacciata di tortura, non rinnegò nulla e rifiutò di piegarsi, pur confessando la propria paura. Il tribunale decise infine di non ricorrere alla tortura, probabilmente per il timore che la ragazza riuscisse a sopportare la prova e forse anche per non rischiare di apporre sul processo una macchia indelebile. Il 23 maggio furono letti a Giovanna, presenti numerosi membri del tribunale, i dodici articoli a suo carico. Giovanna rispose che confermava tutto quanto aveva detto durante il processo e che lo avrebbe sostenuto sino alla fine.

Ottavia Luciani

Fine Quinta parte – Continua venerdì 12 febbraio

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