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IL MONDO DI MEZZO DELL’AGRICOLTURA

IL MONDO DI MEZZO DELL’AGRICOLTURA

Diritto penale e nuova economia: le frontiere del contrasto agli illeciti agroalimentari

Con il termine agromafie si fa riferimento a tutte quelle attività illecite che coinvolgono il comparto agricolo e la filiera alimentare, dove spesso la criminalità investe denaro sporco.

Il mondo di mezzo descritto nella celebre opera di Tolkien riguarda anche la rappresentazione dell’agricoltura: produzione, distribuzione e vendita sono sempre più penetrate da poteri criminali capaci di operare in un’apparente legalità attraverso il reimpiego di capitali ottenuti da pratiche sommerse, nelle quali si confondono profili leciti e illeciti di azione. Sono messe a punto, così, operazioni sempre più raffinate che si avvalgono di relazioni strategiche con la finanza e di incroci societari per condizionare il mercato e imporre modelli di consumo.

PRATICHE SOMMERSE E DISVALORE PENALE DELLE MAFIE SILENTI

Le cosiddette mafie silenti, sempre più connesse con il potere economico e finanziario, sono passate dal controllo del territorio al controllo della filiera. Sul piano operativo, molteplici riscontri investigativi hanno messo in evidenza tipiche modalità di intervento nelle diverse fasi della produzione, del trasporto e della commercializzazione dei prodotti. E il condizionamento dell’economia legale appare ancor più preoccupante nel momento in cui viene a decadere la esteriore offensività del metodo intimidatorio e di condizionamento, con l’adesione ad un accordo spontaneo delle imprese soggiacenti ai fini della erogazione dei servizi dell’associazione per spuntare condizioni migliori nella competizione.

Più in particolare, con il termine agromafie si richiama un fenomeno “antico”, già noto nel corso dell’Ottocento agli agricoltori del Mezzogiorno, impegnati a difendersi dagli atti di intimidazione e furti di bestiame. La serie dei Rapporti sui crimini agroalimentari in Italia, elaborati a partire dal 2012 da Eurispes, Coldiretti e Fondazione Osservatorio sulla criminalità in agricoltura e sul sistema agroalimentare, tratteggia una linea evolutiva del tradizionale ambito applicativo delle disposizioni penali ai reati di stampo associativo. Attraverso la presentazione dei dati significativi sull’impatto della criminalità organizzata sulle attività economiche del comparto agricolo, i suddetti Rapporti confermano il passaggio delle mafie dalle campagne “alle stanze ovattate dei consigli di amministrazione e delle grandi centrali finanziarie” per decidere il destino della filiera alimentare. Si tratta, dunque, di associazioni che, attraverso la formazione di cartelli e il ricorso ad abusi, impiegano l’intimidazione e sfruttano l’omertà dei propri associati per gestire moderne attività economiche.

Occorre, tuttavia, rilevare come permangano motivate riserve culturali per quanto riguarda la difficoltà di precisare il concetto di intimidazione economica ogni volta che le imprese operanti nella filiera siano costrette a sottostare a condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose e abusive. Si pensi alla predisposizione di contratti in serie, che impegnano, in aree geograficamente omogenee, al conferimento di prodotti al di sotto della soglia di profittabilità: condizione che, in modo tipico, rivela l’agire sistematicamente illecito la cui rilevanza penale discende dalla minaccia, esercitata su qualsiasi operatore che non voglia conformarsi a tale sistema, di non ritirare la produzione.

LOGICHE DI MERCATO E STRUMENTI DI REPRESSIONE

In effetti, la globalizzazione impone logiche produttive decontestualizzate che scollegano filiere e territori creando diseguaglianze. Il tema non solleva soltanto problemi di giustizia distributiva, quanto di efficienza allocativa: una crescita economica senza regole che non assicura giustizia sociale, ambientale e dignità umana, produce un “effetto boomerang” che blocca la crescita del Made in Italy agroalimentare e causa instabilità e insicurezza.

Proprio l’incerta qualificazione del fenomeno spiega le ragioni di debolezza del contrasto a condotte di reato plurisoggettive e di natura frodatoria, imputabili ad apparati imprenditoriali dotati di know how relazionale e professionale necessario per “mimetizzarsi” nell’economia legale.

La difficoltà di riconoscere rilevanza penale ad un comportamento che risulta privo della necessaria offensività richiesta dalla fattispecie legale, evidenzia la distanza tra sistema penale e mercato. Il fenomeno della criminalità nel settore agroalimentare ha, infatti, accentuato, nel periodo più recente, la sua portata in ragione dei cambiamenti influenzati dall’apertura dei mercati, dall’introduzione di importanti novità in materia di comunicazioni, oltre che dalla facile accessibilità a ritrovati tecnologici.

Le attuali forme di organizzazione dei circuiti commerciali della distribuzione, come la mancata coincidenza dell’operatore a cui sia riferita la messa in circolazione degli alimenti con quello a cui sia imputabile la minaccia di aggressione, non solo fa normalmente cadere la ricorrenza del dolo nella struttura della fattispecie incriminatrice, dimenticando il turbamento sociale meritevole di più severa punizione, quanto evidenzia le difficoltà di arretramento della tutela.

FRODI E CONTRAFFAZIONI

Sebbene le frodi alimentari presentino origini risalenti, cambiano le dimensioni del fenomeno: da condotte domestiche – realizzate dal venditore attraverso l’aggiunta di acqua o sostanze scadenti negli alimenti per spuntare un prezzo più alto dall’acquirente – a fenomeni di carattere transnazionale, attraverso collegamenti tra imprese operanti in Paesi differenti con regole di produzione e sistemi di controllo non sempre efficaci e tracciabili.

Ad esempio, lo scandalo della carne equina venduta come bovina ha portato a riflettere su nuove forme di attacco alla sicurezza alimentare, che si annidano là dove le catene di approvvigionamento alimentare sono lunghe e complesse e vedono coinvolti diversi operatori, senza che ai consumatori siano fornite indicazioni sulle modalità di produzione.

L’episodio ha indotto, cioè, a riflettere sul fatto che l’apparato ingente di regole non sia sufficiente ad evitare il ripetersi di episodi che, dalla “mucca pazza” in poi, impegnano le istituzioni europee ad adottare assetti regolamentari diretti a rafforzare i controlli per individuare la presenza di residui e di altre forme di contaminazione degli alimenti e dei mangimi.

Allo stesso tempo, si registra, a livello nazionale, un ampio dispiegamento di mezzi, risorse e competenze da parte delle Forze dell’Ordine per contrastare i casi di frode e contraffazione senza che si giunga ad una tempestiva ed efficace risoluzione dei reati segnalati all’Autorità giudiziaria. Infatti, come emerge dall’Annuario dell’Ufficio di Statistica della Corte di Cassazione Penale del 2018, i procedimenti penali iscritti, tra il 2014 e il 2018, nel settore dei delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio, continuano a registrare valori non indicativi della realtà del fenomeno criminale. Ad esempio, nel 2018, rappresentano soltanto lo 0,2% del totale: 83 procedimenti. Così come, nel settore degli alimenti e delle bevande, la stessa percentuale è del tutto marginale, raggiungendo la soglia dello 0,1%, con 66 procedimenti iscritti.

Naturalmente, la rilevanza critica dei dati forniti dal citato Ufficio di Statistica si sposta sulla valutazione comparativa del numero dei procedimenti definiti. Pertanto, nonostante i controlli a tappeto, i conti sembrano non tornare: occorre avviare un più approfondito esame di ciò che deve intendersi per sicurezza nella sua complessità, indagando, in primo luogo, nel campo della tecnologia.

di Stefano Masini (Responsabile Area Ambiente e Territorio – Coldiretti)

(Fonte Carabinieri.it)

 

 

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