HomeCulturaIL SALENTO DALLA PREISTORIA ALLA MODERNITA’: ACAYA

IL SALENTO DALLA PREISTORIA ALLA MODERNITA’: ACAYA

IL SALENTO DALLA PREISTORIA ALLA MODERNITA’: ACAYA

IL SALENTO DALLA PREISTORIA ALLA MODERNITA’: ACAYA

Visitare Acaya è come immergersi in un tempo che non c’è più da nessuna parte; varcata la porta d’ingresso del paese è come tornare indietro, il tempo sembra essersi fermato al XVI secolo.

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Acaya, un tempo conosciuta come feudo di Segine era una terra poco fertile e fu donata nel 1294, dall’imperatore Carlo II d’Angiò, alla famiglia di nobili spagnoli De Laya (mutato nel tempo in  Dell’Acaya).

Nel Rinascimento divenne luogo adatto al concetto di città ideale, intesa come spazio da progettare in maniera tale da garantire il vivere civile.

Fu pensata come città-fortezza in conseguenza delle continue e cruente scorribande dei turchi nel XVI secolo come baluardo difensivo di Lecce.

La struttura difensiva fu iniziata da Alfonso dell’Acaya, settimo barone di Segine, che sul finire del 1400 con la costruzione di due torri circolari poste agli angoli Nord-Est e Sud-Ovest del castello. Gian Giacomo, divenuto ottavo barone del feudo nel 1521, si rese conto che quelle torri isolate non avrebbero protetto in maniera opportuna il territorio e le persone, anche perché fu proprio in quegli anni che iniziarono a diffondersi le armi da fuoco. Segine subì così una netta trasformazione in chiave militare. Il nuovo barone fece costruire il borgo vitale all’interno di alte mura bastionate a pianta quadrangolare, con il Castello che sostituisce il bastione all’angolo Sud-Ovest.

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Gli accorgimenti impiegati per poter difendere al meglio il feudo sono rappresentati dai bastioni lanceolati a pianta pentagonale e a fianchi ritirati, dalla presenza dei “tronieri traditori” (dei fori nelle mura costruiti per piazzare le bocche dei cannoni, nascosti nei fianchi ritirati e per questo non visibili al nemico assalitore). Inoltre il sistema di muratura a doppio registro (con la parte inferiore a scarpata), ed un camminamento di ronda lungo tutto il perimetro oltre ad un profondo fossato che circonda interamente il borgo, resero ben presto questa città-fortezza inespugnabile.

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Ma la bellezza architettonica di Acaya consiste soprattutto nell’attuazione del concetto di città ideale per la vita civile; proprio su questi concetti Gian Giacomo creò un borgo straordinario: un complesso urbano organizzato su assi viari ortogonali regolari, tagliato diagonalmente da tre piazze (Piazza d’Armi, di fronte all’unico ingresso del Castello; Piazza Gian Giacomo, al centro del borgo, dove sorge la Chiesa della Madonna della Neve, edificata nei primi del ‘500 e completamente restaurata nel 1865; Piazza Convento, all’angolo Nord-Est, dove sorge il Convento di S. Maria degli Angeli, da lui stesso fatto costruire), che ancora oggi conserva il suo impianto originario. L’unico accesso al borgo era costituito dalla Porta Monumentale, costruita da Gian Giacomo nel 1535 e restaurata dalla famiglia Vernazza, ultimi feudatari di Acaya, nel 1792.

Gian Giacomo volle una città totalmente autosufficiente, ed ecco all’interno delle mura: un profondo pozzo di acqua sorgiva per il sostentamento, posto al centro di Piazza d’Armi; un frantoio ipogeo; decine di silos scavati nella roccia, per la raccolta e la conservazione delle derrate alimentari. Tutte opere oggi ancora visibili grazie a un’accurata messa in opera del basolato, che fa risaltare il disegno originario della pianta del borgo.

Fu sulla base dei radicali cambiamenti da voluti che il barone Gian Giacomo, nel 1535, impose il proprio nome al borgo.

Acaya però si offre al visitatore anche con altre opere, come la Cappella di San Paolo, insistente fuori le mura, risalente alla metà del XVIII secolo, la più antica meta di pellegrinaggio (con Galatina) per le vittime del morso della tarantola.

Ottavia Luciani

redazione.lecceoggi@gmail.com

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