HomeLe donne nella storiaLE DONNE NELLA STORIA – SIBILLA ALERAMO, PSEUDONIMO DI MARTA FELICINA FACCIO DETTA RINA

LE DONNE NELLA STORIA – SIBILLA ALERAMO, PSEUDONIMO DI MARTA FELICINA FACCIO DETTA RINA

LE DONNE NELLA STORIA – SIBILLA ALERAMO, PSEUDONIMO DI MARTA FELICINA FACCIO DETTA RINA

SIBILLA ALERAMO, PSEUDONIMO DI MARTA FELICINA FACCIO DETTA RINA

Sibilla Aleramo è lo pseudonimo di Marta Felicina Faccio, detta Rina, nata ad Alessandria 14 agosto 1876 – Roma 13 gennaio 1960 è stata una scrittrice, poetessa, giornalista femminista.

È ricordata per il suo romanzo autobiografico “Una donna”, in cui dipinge la condizione femminile in Italia a cavallo fra il XIX e il XX secolo.

Figlia di Ambrogio Faccio, professore di scienze, e di Ernesta Cottino, casalinga, era la maggiore di quattro fratelli. Visse a Milano fino all’età di dodici anni, quando interruppe gli studi per il trasferimento della famiglia a Civitanova Marche, dove il marchese Sesto Ciccolini aveva offerto al padre la direzione della propria fabbrica. Fu il padre a spingere Rina a lavorare come contabile nello stabilimento.

La sua adolescenza fu infelice: nel settembre del 1890 la madre, sofferente da tempo di depressione, tentò il suicidio gettandosi dal balcone di casa. La sua crisi si accentuò progressivamente negli anni, provocando tensioni inevitabili nei rapporti familiari: dopo pochi anni, la donna fu ricoverata nel manicomio di Macerata, dove morì nel 1917. Nel febbraio del 1892, a quindici anni, Rina fu violentata da un impiegato della fabbrica, Ulderico Pierangeli, che il 21 gennaio del 1893 sarà costretta a sposare.

Prigioniera in una convivenza oppressiva con un marito abusante e di una vita condotta in una cittadina della quale percepiva il gretto provincialismo, credette di trovare nella cura del suo primo figlio Walter, nato nel 1895, una fuga dall’oppressione della propria esistenza. La caduta di questa illusione la portò a un tentativo di suicidio, dal quale volle sollevarsi attraverso l’impegno a realizzare aspirazioni umanitarie con letture e articoli che le furono pubblicati, a partire dal 1897, nella «Gazzetta letteraria», ne «L’Indipendente», nella rivista femminista «Vita moderna», e nel periodico, di ispirazione socialista, «Vita internazionale». A questi anni risale la corrispondenza con un’altra donna impegnata nelle battaglie per l’emancipazione femminile, Giorgina Craufurd Saffi e con il marito Aurelio Saffi.

Il suo impegno femminista non si limitò alla scrittura ma si concretizzò nel tentativo di costituire sezioni del movimento delle donne (Paolina Schiff le aveva chiesto di creare una Lega delle donne nelle Marche) e nella partecipazione a manifestazioni per il diritto al voto e per la lotta contro la prostituzione, tema caro anche alla Saffi.

Nel 1899 si ritrasferisce a Milano dove il marito aveva avviato un’attività commerciale, a Rina Faccio fu affidata la direzione del settimanale socialista «L’Italia femminile», fondato da Emilia Mariani, nel quale tenne in particolare una rubrica di discussione con le lettrici e ricercò la collaborazione di intellettuali progressisti come Giovanni Cena, Paolo Mantegazza, Maria Montessori, Ada Negri, Matilde Serao. Divenne grande amica di Alessandrina Ravizza e conobbe influenti dirigenti socialisti come Anna Kuliscioff e Filippo Turati oltre ad iniziare una relazione con il poeta Guglielmo Felice Damiani.

In seguito a dissensi con l’editore Lamberto Mondaini, lasciò già nel gennaio del 1900 la direzione del settimanale e dovette seguire la famiglia nuovamente a Porto Civitanova. Dal 1901 al 1905 collaborò con la rivista Unione femminile, pubblicata dall’Unione femminile nazionale, di cui diventò socia nel 1906.I difficili rapporti familiari la convinsero ad abbandonare marito e figlio trasferendosi a Roma nel febbraio del 1902 e legandosi a Giovanni Cena, direttore della rivista «Nuova Antologia» alla quale la Faccio collaborò e iniziò a scrivere, su sollecitazione dello stesso Cena, il romanzo “Una donna”.

 

Fine prima parte

luciani.2006@libero.it

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