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LE DONNE NELLA STORIA: ELEONORA DE FONSECA PIMENTEL

LE DONNE NELLA STORIA: ELEONORA DE FONSECA PIMENTEL

Eleonora de Fonseca Pimentel nasce a Roma il 13 gennaio del 1752 e muore a Napoli il 20 agosto 1799 è stata una patriota e donna politica. È stata una delle figure più rilevanti della breve esperienza della repubblica Napoletana del 1799 

Di famiglia portoghese è ricordata nelle pubblicazioni che la riguardano con il cognome in lingua italiana adottato dalla sua famiglia allorché risedette a Roma e Napoli. Quello con il quale la Fonseca Pimentel fu tra i protagonisti della scena politica di fine diciottesimo secolo.  La sua famiglia era originaria di Beja nell’Alentejo e risiedeva nello Stato Pontificio, a seguito della rottura dei rapporti diplomatici fra il Regno del Portogallo e il Vaticano la famiglia di Eleonora de Fonseca Pimentel si trasferì a Napoli. Qui, grazie all’aiuto dello zio, l’abate Antonio Lopez, ma, soprattutto, perché molto precoce intellettualmente, fin dall’infanzia sapeva leggere e scrivere in latino e greco, Eleonora de Fonseca Pimentel si dedicò allo studio delle lettere e si cimentò nella composizione di versi (sonetti e cantate); parlava, inoltre, diverse lingue moderne. Ancor giovane, fu ammessa all’Accademia del Filaleti e all’Accademia dell’Arcadia. Ebbe scambi epistolari con letterati; le sue capacità colpirono in particolare Pietro Metastasio, a cui, dall’età di diciotto anni, aveva cominciato ad inviare i suoi primi componimenti. In seguito si dedicò allo studio delle discipline storiche, giuridiche ed economiche. Fin dall’adolescenza aveva partecipato ai salotti di GaetanoFilangieri, dove incontra tra gli altri il dottore Domenica Cirillo e il massone Antonio Jerocades. Scrisse un testo di argomento finanziario e tradusse, dal latino all’italiano, commentandola, la dissertazione dell’avvocato napoletano Nicola Caravita (1647-1717) sui pretesi diritti dello Stato Pontificio sul Regno di Napoli. Inoltre in occasione del matrimonio tra re Ferdinando IV e Maria Carolina d’Austria, compone il famoso “Tempio della gloria”. Per i suoi metodi letterari, fu ricevuta a Corte, dove le venne concesso un sussidio come bibliotecaria della regina, ruolo che occuperà per molti anni.

Alla fine del 1771 morì la madre, e per la giovane fu un periodo davvero difficile; nel 1778 sposò Pasquale Tria de Solis, capitano dell’esercito napoletano, da cui ebbe un figlio, Francesco, che morì in tenera età; resterà l’unico figlio da lei avuto. Per lui scrisse cinque sonetti, pervasi di disperato amore materno. Nel 1786 si separò dal marito (deceduto nel 1795), che a causa delle continue percosse le aveva causato l’interruzione di altre due gravidanze.

Amica della regina Maria Carolina d’Asburgo-Lorena, divenne la curatrice della sua biblioteca. Con lei frequentò i salotti degli illuminati napoletani, affiliati alla massoneria e in un primo tempo sostenuti dalla stessa regina. Forte fu il legame tra le due donne, ma si interruppe drasticamente con il sopraggiungere, dalla Francia, delle notizie che facevano conoscere i drammatici sviluppi della Rivoluzione Francese.

La regina progressista, che sosteneva il dispotismo illuminato, si sentì tradita da quegli amici che con lei avevano lavorato per una monarchia moderna e che ora propugnavano l’avvento della repubblica, e li combatté inflessibilmente, spinta anche dall’odio verso i giacobini responsabili della morte della sorella.

Nell’ottobre del 1798 Eleonora fu incarcerata con l’accusa di giacobinismo. Fu liberata dopo qualche mese dai “lazzaroni”, che avevano aperto le carceri per avvalersi dell’aiuto dei delinquenti comuni. Volle allora cancellare dal suo cognome il “de” nobiliare e divenne una protagonista della vita politica della Repubblica Napoletana (della quale salutò l’avvento scrivendo l’Inno alla Libertà). In primo luogo partecipò alla formazione del Comitato centrale che favorì l’entrata dei francesi a Napoli. Poi fu il direttore del giornale ufficiale della Repubblica, il Monitore Napoletano, che si pubblicò dal 2 febbraio all’8 giugno 1779, in 35 numeri bisettimanali. Dai suoi articoli emerge un atteggiamento democratico ed egualitario Ultra, contrario ad ogni compromesso con le correnti moderate e volto soprattutto a diffondere nel popolo gli ideali repubblicani, attività nella quale la Pimentel si impegnava attivamente anche della Sala d’Istruzione Pubblica. In realtà, Eleonora non poteva avere una reale conoscenza delle condizioni delle classi inferiori, e i suoi tentativi di rendere popolare il nuovo regime ebbero scarso successo; l’unico effetto palese fu quello di acuire il malanimo dei Borbone nei suoi confronti e di attirarle addosso la loro vendetta quando la Repubblica, nel giugno del 1799, fu rovesciata e la monarchia fu restaurata.

Eleonora fu arrestata e portata in una delle navi ancorate nel golfo di Napoli dove furono ammucchiati i rei di Stato in attesa della definizione delle sentenze. In un primo tempo la Giunta di Stato riconobbe ad Eleonora – e sottoscrisse – una “obbliganza penes acta“, in sostanza un contratto ed una sentenza insieme, con cui il giudice ed il condannato rinunciavano al processo ed il secondo giurava, pena la morte, di non rientrare nel Regno. Tuttavia la Giunta di Stato, tre giorni dopo, dichiarò di aver commesso un errore formale ed Eleonora fu condotta nel Carcere della Vicaria; disattendendo la firma regia già apposta all’obbligo penes acta (ma di maggiore portata fu il disattendere per tramite dell’Ammiraglio inglese Orazio Nelson – dinanzi a tutte le nazioni d’Europa – la capitolazione stipulata dai Borbone con i Repubblicani), il 17 agosto fu condannata a morte. Fu impiccata, insieme al principe Giuliano Colonna, all’avvocato Vincenzo Lupo, al vescovo Michele Natale, al sacerdote Nicola Pacifico, ai banchieri Antonio e Domenico Piatti, a Gennaro Serra di Cassano il 20 agosto 1799 a soli 47 anni nella storica Piazza Mercato.

Ottavia Luciani

redazione.lecceoggi@gmail.com

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